MODENA - Il telefono squilla e dall’altra parte risponde la voce gentile e appassionata di Vincenzo Fanizza, allenatore e direttore tecnico delle nazionali giovanili azzurre.
È appena rientrato a casa dopo un mese ininterrotto di tornei, raduni e aggiornamenti tecnici. “Mia moglie dice che ormai in casa ci vorrebbe un mio cartonato”, racconta sorridendo. Un modo ironico per dire che il tempo a casa è pochissimo, quasi inesistente. Ma poi aggiunge con sincerità: “Non parliamo di sacrifici. Faccio il lavoro che sognavo da ragazzo. Non sono riuscito a indossare la maglia azzurra da giocatore, ma quel sogno l’ho realizzato da tecnico. E questo basta per rendermi felice.”
Fanizza, classe 1969, vive immerso nella crescita dei giovani. È reduce da settimane intense: finali nazionali Under 19, poi Under 17, quindi Under 15. E subito dopo l’impegno con Camigliatello per un corso di aggiornamento. Non si ferma un attimo. Coordina e segue tutte le selezioni, da quelle territoriali alle squadre nazionali.
Il prossimo mese sarà in Germania per le Universiadi, poi in Armenia con l’Under 16, quindi in campo con l’Under 21/22. Un’agenda senza pause.
“Quest’anno, con l’introduzione della categoria Under 16, abbiamo dovuto costruire tutto da capo. Ho avviato le selezioni già da febbraio. Abbiamo visionato 52 atleti del 2010-2011, organizzato sei collegiali, uno al mese, e poi un raduno finale durante Pasqua, Pasquetta, il mio compleanno e l’anniversario di matrimonio. Tutto a Pomigliano. Mia moglie mi ha raggiunto lì per l’anniversario. Fortunatamente ho avuto anche il supporto delle famiglie e del comitato regionale.”
Fanizza vive la responsabilità tecnica come un impegno quotidiano. “Non potevo lasciare il gruppo che avevo seguito per mesi. Quando lavori con continuità con gli stessi ragazzi, sei il loro punto di riferimento. Cambiare tutto non sarebbe stato giusto.”
Così si ritrova a seguire Under 16, Under 21/22 e anche l’Universitaria. Non mancano gli ostacoli. Alcuni atleti promettenti, come Frascio, Pardo e Taiwo, non possono partecipare alle Universiadi per limiti anagrafici legati all’anno solare. “Mi dispiace – dice – perché stanno facendo molto bene in Superlega, ma non rientrano nei parametri. Succede anche questo.”
Fanizza rivendica però con orgoglio il lavoro sulla quantità e sulla qualità: “Abbiamo visionato più di 1.000 atleti tra selezioni territoriali e regionali. E non ci fermiamo mai: anche alle finali nazionali vado a vedere le squadre già dai gironcini del martedì, non solo le squadre 'top', quelle si conoscono. Un ragazzo visto a gennaio può essere completamente diverso a giugno. Crescono, maturano, migliorano.” Il database si allarga costantemente: “Abbiamo trovato una media di sei atleti nuovi per ogni finale. Questo ci ha permesso di aumentare il numero di profili monitorati.”
Poi, con naturalezza, si apre anche sul lato familiare. “La mia fortuna è che mio figlio gioca a pallavolo. Alessandro è palleggiatore e quest’anno ha giocato titolare a Cisterna. È stato confermato per i prossimi tre anni. Ne sono orgoglioso, ma non gli abbiamo mai regalato nulla. Quando era piccolo gli portavo qualche maglietta di Serie A, ma lui non le voleva. Diceva: ‘Queste me le devo conquistare da solo’. Aveva dieci anni.” Una frase che dice molto del carattere di chi ha respirato da vicino l’ambiente della fatica, della selezione, del merito.
Fanizza non si vanta, ma si commuove nel ricordare i ragazzi che ha formato e oggi vede in VNL. “La mia più grande vittoria è vedere in campo i ragazzi che ho cresciuto. Gargiulo, per esempio. Giovanni ha iniziato a giocare con me a 16 anni, prima faceva tennis. Lo ricordo a casa mia, da ragazzino. Oggi gioca titolare in nazionale. Quando mi scrive messaggi, mi torna tutto alla mente. È questo che mi motiva.” E ancora: “Molti allenatori guardano al palmarès, ma per me la cosa più bella è vedere un ragazzo crescere, entrare in nazionale, e sapere che gli hai dato il primo pallone in mano.”
Alla domanda se i ragazzi di oggi siano cambiati, Fanizza riflette: “No, forse siamo cambiati noi. I ragazzi si emozionano ancora. Quando ricevono la maglia della nazionale, quando si allenano con noi, li vedi felici, coinvolti. A Camigliatello, anche all’ultimo giorno di allenamento, ci mettevano intensità. Bisogna parlarci, comunicare. Far capire cosa significa rappresentare l’Italia. Quando siamo andati in Grecia, prima dell’ultima partita ho fatto vedere loro un video con il pubblico in delirio. Ho detto: ‘Oggi incontriamo una squadra che ha tutto il palazzetto dietro. Vediamo se siamo capaci di reggere’. Sono entrati in campo come leoni.”
Lavoro tecnico, sì, ma anche educativo. “Quando fai il direttore tecnico non puoi solo cercare risultati. È chiaro che le medaglie fanno piacere. Ma senza il lavoro quotidiano dei club, noi non potremmo far nulla. Io faccio il selezionatore, non l’allenatore tutto l’anno. Per questo la collaborazione con le società è fondamentale. Con il mio staff – preparatori, fisioterapisti, medici – monitoriamo tutti gli atleti, i carichi, gli infortuni. Interagiamo con i club costantemente. È un sistema che funziona, e lo stiamo facendo bene.”
Prima dei saluti, Fanizza racconta anche della nuova sede operativa delle nazionali giovanili: “Siamo a Camigliatello Silano, nel cuore del Parco Nazionale della Sila. Abbiamo due campi, una grande sala pesi, uno staff di 150 persone tra tecnici, medici e atleti. È un ambiente bellissimo, con un clima ideale per lavorare. Siamo a 1.460 metri: la sera si sta freschi, si lavora bene.”