MILANO – Nell’intervista concessa a Marie Claire per la digital cover mUSE cLUB, e maturata nel contesto dell’evento NOTTURNO Marie Claire al Planetario di Milano, Alessia Orro riflette sul proprio percorso dentro e fuori dal campo. Un racconto che scorre tra identità, consapevolezza, fragilità e responsabilità, restituendo l’immagine di un’atleta che ha imparato a distinguere il risultato dal valore personale, il ruolo dalla persona.
La palleggiatrice della Nazionale parla della pallavolo come di un linguaggio che la accompagna da sempre, ma mai in modo esclusivo. Nelle sue parole convivono intuizione e maturità, disciplina e ascolto, l’istinto dei primi passi in palestra e la scelta consapevole di ogni giorno. "All’inizio è stato davvero un istinto – racconta – qualcosa che non sapevo spiegare. Crescendo quella scintilla non si è spenta, ma si è trasformata. Oggi è una scelta quotidiana. Ci sono giorni facili e altri in cui devi ricordarti perché hai iniziato. L’amore resta, ma diventa responsabilità, cura, presenza".
Il soprannome di sempre, Scriciolo, è rimasto. Ma a crescere è stato il rapporto con la propria fragilità, ora considerata una risorsa e non un difetto da nascondere: "La fragilità non la nascondo più. È la parte che mi rende attenta agli altri, che mi permette di guidare senza alzare la voce. La mia leadership nasce dal sentire, non dal dominare".
Proprio il valore personale rappresenta uno dei punti centrali dell’intervista. Orro lo definisce a partire dalle cadute che non riguardano il campo: "Ci sono momenti in cui la vita ti mette davanti a cadute che non hanno a che fare con una partita persa. È lì che capisci che il tuo valore non coincide con il risultato". Lo sport, dice, ha reso questa consapevolezza una pratica quotidiana.
Anche il ruolo in campo, che definisce cucito addosso, è diventato pienamente suo solo quando ha iniziato a viverlo senza filtri: "All’inizio ti affidi, ti lasci modellare. Poi arriva il momento in cui devi fare tua quella forma, oppure cambiarla. Il mio ruolo è diventato mio quando ho smesso di interpretarlo per gli altri e ho iniziato ad abitarlo davvero".
Durante l’evento milanese, dedicato all’essenzialità e non alla performance, Orro è stata una delle donne illuminate. Un’immagine simbolica che lei stessa restituisce con delicatezza: "Essere luce in uno spazio notturno ha avuto un significato profondo. Ha voluto dire condividere energia, non esibire forza. Un riconoscimento silenzioso, ma potentissimo".
E quando il risultato non sarà più il centro? Quale segno spera di lasciare? "Spero di lasciare un segno umano, prima che sportivo. Che le persone ricordino come si sentivano quando c’ero: accolte, viste, parte di qualcosa. I risultati passano, le sensazioni restano. Se riesci a far sentire qualcuno più forte, più leggero o più vero, allora hai vinto davvero".
La chiusura guarda all’infanzia, alle radici, ai primi passi in palestra. "Alla bambina che ero direi che la felicità non è un traguardo. È qualcosa che riconosci perché ti somiglia, perché ti fa respirare meglio. Si trova nelle cose semplici, nella coerenza con quello che sei, e spesso arriva mentre stai costruendo, non quando pensi di essere arrivata".











