Estero | 01 dicembre 2025, 17:43

Intervista: Guidetti: “Non alleno per vincere, ma per servire le persone”. Le fuoriclasse? "Quelle bravissime a fare le cose che non amano fare"

Luca Muzzioli

Dal VakifBank al Canada, l’evoluzione di un tecnico che ha fatto della cultura, del rispetto e dell’empatia la sua filosofia. “Le campionesse non discutono: provano. E ogni palla conta, anche quella che sembra inutile.”

Giovanni Guidetti ed i trofei vinti con il Vakifbank

Giovanni Guidetti ed i trofei vinti con il Vakifbank

MODENA – Dopo venticinque anni di panchine, trofei e rivoluzioni culturali, Giovanni Guidetti parla con la serenità di chi ha trovato la propria dimensione dentro e fuori dal campo. Dal regno d’oro costruito al VakifBank Istanbul alla nuova avventura con la Nazionale canadese, il tecnico modenese racconta la sua idea di pallavolo: “Non alleno per vincere, alleno per servire le persone.

Intervistato nel podcast statunitense Bump Set Chat Guidetti si è raccontato a 360°. Ecco gli spunti principali.

“Due lavori diversi: club e nazionale sono mondi opposti”

“Nel club hai i giocatori che vuoi, in nazionale hai quelli che hai,” spiega Guidetti. “È come cucinare con ingredienti limitati: ti danno venti prodotti e devi creare il miglior piatto possibile. Ma proprio per questo la soddisfazione è doppia.”
Allenare una nazionale, per lui, significa soprattutto educare: “Le ragazze non vengono per soldi, ma per amore del gioco. E allora tu dai tutto per loro, perché senti che credono in te.”

“Le fuoriclasse sono quelle che fanno bene le cose che non amano”

Con parole semplici ma nette, Guidetti descrive la differenza tra una grande giocatrice e una campionessa: “Le fuoriclasse sono bravissime a fare le cose che non amano fare.

Cita Gabi, Bošković, Larson, Ognjenović, Egonu. “Nessuna di loro ama la preparazione atletica, ma in palestra sono sempre le migliori. Le campionesse non cercano scuse, non discutono: se dici di cambiare qualcosa, provano subito. Le mediocri rispondono sempre con ‘sì, ma…’. Le grandi dicono solo ‘ok, coach’.” 
E poi aggiunge: “Le fuoriclasse sono arroganti in partita, ma umili in allenamento. È questa la differenza.”

“Ogni giorno voglio un contatto con tutte le mie giocatrici”

Nel corso dell’intervista, Guidetti rivendica il valore dell’empatia e della connessione umana. “Mi piace scherzare con le ragazze, ma quando si lavora, pretendo il 110%.
Credo nel contatto: una parola, un abbraccio, un cinque. La leadership non è comando, è servizio. Non devi essere autoritario per farti rispettare: devi essere autentico.”

Cita il collega Andrea Anastasi: “Ogni giorno voglio un contatto con tutti i miei giocatori come un pianista tocca ogni tasto del suo pianoforte.” “È così anche per me — dice Guidetti — perché il contatto crea fiducia e appartenenza. È una forma di comunicazione più forte di mille parole.”

“Il virus della palla unica: nessuno può dire ‘era solo un pallone’”

Uno degli episodi più emblematici della filosofia VakifBank nasce da un momento di rabbia e intuizione. “Durante un allenamento, Gözde Kirdar aveva difeso tutto per due ore, poi lasciò cadere una palla dietro di sé. Le chiesi perché non si fosse tuffata. Mi rispose: ‘Coach, ho difeso tutto, e mi rimproveri per una palla?’
Le dissi: ‘Sì. Perché se lasci passare una palla, poi ne lasci due, poi tre. E magari perdi la finale per quella.’”

Da quel giorno nacque la regola del “virus della palla unica”, diventata un simbolo della cultura VakifBank: “Nessuno può dire: era solo un pallone.” Due anni dopo, quella filosofia portò la squadra a vincere una finale di Champions difendendo tre palloni impossibili.

“Il talento ti porta lì, il comportamento ti fa restare”

Nel “manifesto” del VakifBank scritto da Guidetti all’alba di un giorno qualsiasi, c’è una frase che è diventata un credo: “Il tuo talento ti ha portato qui. Il tuo comportamento deciderà se resterai.”

Non conta quante medaglie vinci, ma come ti comporti ogni giorno. “Per questo ho salutato anche giocatrici forti — spiega — perché non erano allineate ai valori della squadra.”

E aggiunge: “Al VakifBank i bonus non vanno solo alle atlete, ma anche a chi pulisce gli spogliatoi o prepara il campo. Tutti fanno parte della vittoria.”

“In Canada ho trovato purezza: qui si gioca per amore del volley”

Dopo quasi due decenni in Turchia, Guidetti ha accettato una sfida diversa. “Il Canada mi ha chiamato con un sogno, non con una promessa. Mi hanno detto: 'Vogliamo andare alle Olimpiadi di Los Angeles 2028’. Non mi hanno offerto nulla di materiale, ma mi hanno offerto una visione. E io ho detto sì.”

Nel nuovo progetto ha trovato giocatrici “curiose, generose, pronte a imparare”. “Qui la pallavolo è ancora pura. Nessuna viene per soldi o fama. Io non voglio solo vincere partite, ma insegnare come si diventa professionisti nella vita.” 
E sorride quando parla del futuro: “Le ragazze canadesi mi ricordano me a vent’anni. Hanno fame, e la fame vale più del talento.”

“Non cerco più le coppe, cerco gli sguardi delle mie giocatrici”

Alla domanda su cosa lo motivi ancora dopo tanti successi, Guidetti risponde senza esitazione: “Non mi emozionano più i trofei, ma gli occhi delle mie giocatrici quando capiscono qualcosa di nuovo. Allenare non è un mestiere, è un modo di servire gli altri. Il giorno in cui sentirò che sto solo ‘facendo il mio lavoro’, smetterò.”

Poi aggiunge con un sorriso: “Un giorno vorrei aprire una scuola per allenatori, non per insegnare tecnica, ma per insegnare come si gestiscono le persone.
Perché la pallavolo non è un gioco di palloni. È un gioco di esseri umani.”

“Il mio oro olimpico? Quando una giocatrice mi dice: grazie”

L’ultima frase, come sempre, è quella che resta: “Non cercate di essere bravi allenatori. Cercate di essere buone persone. Se una giocatrice, dopo un anno, vi dice ‘Grazie coach, mi hai insegnato qualcosa anche fuori dal campo’, allora avete vinto il vostro oro olimpico.”