MODENA - Dopo gli echi riguardanti Paola Egonu e il Festival di Sanremo, sottorete, in una combo che ha unito il disagio manifestato dalla celebre schiacciatrice per discriminazioni sociali legate al razzismo a quello di un arbitro di serie B della nostra federazione, è esploso “il caso” (non caso) di Martina Scavelli, “fischietto” della Fipav, che ha probabilmente deciso di appendere i cartellini al chiodo e poi via social ha pubblicato un post con un oggetto di forte impatto “Egonu, tu sei nera, IO SONO GRASSA…”. Il prologo al racconto del suo arrivederci (o addio) al ruolo di arbitro di serie B culminato con il richiamo alla “pesa delle vacche”.
Il fatto. Scavelli, arbitro 34enne di Catanzaro - la cui passione per la pallavolo non è messa in discussione - racconta su facebook di aver ricevuto una penalizzazione dai responsabili del settore federale perché ha superato gli indici indicati dai regolamenti su circonferenza addominale e indice massa corporea. Due dei tanti fattori che fanno riferimento all'attenzione alla salute dei tesserati della categoria arbitrale della stessa Fipav che, sicuramente, contribuiscono poi alle prestazioni di eccellenza di quella che, non a caso, è una classe arbitrale tra le migliori al mondo.
Un insieme di valori da rispettare che, possono piacere o meno, ma non possono essere indicati come discriminatori anche perché, a prescindere, l'eventuale “retrocessione” a fine stagione non impedirebbe a Scavelli di proseguire ad esercitare la sua passione arbitrale.
Il caso che caso non è. E' una vergogna che si sia strumentalizzato il caso e la passione di Martina Scavelli parlando di discriminazione legata all'aspetto fisico, all'aspetto estetico quando tutto nasce da altre verità. Il settore arbitrale della Fipav, adeguandosi anche a quello internazionale, da almeno un decennio segue queste regole. Per paradosso mi verrebbe da dire che la vicenda è diventata una storia di ingiustizia e accanimento al contrario, ovvero verso la maggioranza della classe arbitrale che da anni le regole esistenti fa di tutto per rispettarle, anche a costo di importanti sacrifici.
Facili moralismi - Va da sé che cavalcando il filone del sensazionalismo tutta la stampa (sportiva e non sportiva) ha cercato di cavalcare la vicenda, ghiottissima sotto l'aspetto dell'appeal mediatico perché se maneggiata nella “giusta” direzione contiene tutti gli elementi per far parlare e discutere, per far partire la caccia a quei “cattivoni” della pallavolo tutta. Almeno finché non arriverà un'altra storia da raccontare e questa diventerà per quelle testate una vicenda archiviata. Basta aver fatto scalpore e la morale in casa d'altri per qualche giorno.
Ma quale body shaming. Si tratta di regole. Ogni ambiente lavorativo ha le sue, non per piacere ma per essere rispettate. Magari sono fastidiose, ma nulla hanno a che vedere con l'aspetto fisico, l'estetica, il body shaming o altre forme di esclusione perché chi lo scrive non conosce la pallavolo italiana nel suo senso generale e la classe arbitrale italiana nello specifico, gruppo che è tutto meno che bandiera della discriminazione. Oltre alla sua alta qualità, basta andare nei palasport di tutta Italia per vedere che quel insieme di appassionati è quanto di più inclusivo ci sia. In tutte le direzioni.
Per non citare i freddi numeri. Mentre nel calcio si fanno aperture giornalistiche per il primo arbitro donna in serie A, come se essere uomo o donna possa essere motivo per questa o quella designazione, nella pallavolo arbitri di genere femminile in serie A sono già il 20/30%, in B quasi il 50%.
Cara Martina Scavelli, se davvero ami la pallavolo, cerca di rientrarne nei canoni voluti dalle regole, ma senza che questo diventi una ossessione perché la salute fisica deve essere anche mentale. Non farti male, ma allo stesso tempo non farti però strumentalizzare da chi ti illuminerà per una settimana o due per poi dimenticarti dopo aver gettare facile fango sul movimento.
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